Zucca in Galleria
Il locale sito sullo spigolo occidentale dell’ingresso
a sud della Galleria è stato chiamato
nel tempo in molti modi: Camparino, Zucca
in Galleria, Caffè Miani. I nomi sono conseguenza
delle cose e il loro avvicendamento è
dunque segno di un mutamento dell’essenza
stessa delle cose. Oggi, entrando attraverso il
locale reso celebre dal lavoro di Quarti,
Mazzucotelli, D’Andrea, si passa in nuove sale
che, pur richiamandone l’impronta stilistica originaria,
sono il riadattamento di spazi occupati
un tempo da altri esercizi commerciali le cui
storie sono state cancellate. Tutto ciò è naturale
in una dinamica commerciale. Nomi e cose
subiscono una continua metamorfosi intorno a
un nodo concettuale che rimane tuttavia saldo:
quel luogo è stato e resta un punto di riferimento
per i milanesi; la capacità di attrazione che
esso ha esercitato nel passato perdura perché
nuovi soggetti ne subiscono il fascino e accettano
la sfida di interpretarne modernamente il
ruolo. Il racconto che abbiamo raccolto da Teresa Miani e dal marito Orlando Chiari non
è la storia del Camparino (del resto documentata con maggior respiro da autori come
Guido Vergani e dallo stesso Orlando Chiari, Campari, Zucca, Miani: 135 anni di storia
milanese, Milano 2001, pubblicazione in distribuzione ai clienti presso il locale), ma è la
testimonianza di una di queste felici immedesimazioni che fanno di Milano una metropoli
capace di interpretare dinamicamente la tradizione.
Il perno di questa narrazione ruota intorno alla vicenda e alla personalità di Guglielmo
Miani, padre di Teresa, e della sua famiglia. Nel 1922, all’età di 17 anni, Guglielmo
arrivò a Milano giungendo da Andria, dopo un breve soggiorno a Roma. Con in tasca
una lettera di presentazione del suo vescovo, si presentò presso l’ufficio di collocamento
dichiarando di “saper fare maniche e collo”, cioè di essere sarto provetto. Venne inviato
subito da Bressan, in corso Vittorio Emanuele, ma qui, alla fine della giornata, gli dissero
che, nonostante la buona volontà, doveva tornare in periferia ad imparare. A Bressan
Miani promise semplicemente che lui in corso Vittorio Emanuele ci sarebbe tornato.
Iniziò dunque altrove il proprio apprendistato e, dopo non molti anni, aprì un laboratorio
di sartoria in vicolo dei Tignoni (l’attuale via Pisoni). Nel 1929 si sposò con Ginevra e
dopo pochi anni nacque Teresa seguita da Riccardo, Adriana e Iris. Nel 1939 l’espansione
del lavoro lo portò ad ampliare l’attività e ad aprire un negozio per la vendita di
tessuti in via Manzoni. Ma nel ‘42 un furto di grande entità lo spogliò di tutto. Teresa
ricorda come i parenti suggerissero di chiedere la procedura del concordato, ma
Guglielmo rifiutò: preferì ricominciare da zero e, contando sul sostegno delle persone
che lo stimavano (importantissimo fu il rapporto
con il Credito Italiano che gli diede fiducia)
rimise in piedi l’attività.
La famiglia era per Guglielmo sede di affetti,
ma anche parte integrante del proprio disegno
imprenditoriale e, al tempo stesso, l’impresa
era luogo di formazione per i figli e veicolo
di legittimazione sociale dell’intera famiglia.
Verificata l’infedeltà di alcuni collaboratori
sorpresi a cedere tessuti in conto merci,
Guglielmo volle che i figli, appena terminate
le medie inferiori, fossero coinvolti in azienda.
Già nel 1936 aveva avviato una produzione
di impermeabili, i trench coat chiari che ave-
Il commercio “racconta” Milano
Iniziativa realizzata in collaborazione con il Centro per la cultura d’impresa
vano preso piede in Inghilterra. Teresa racconta che il padre e la madre presero un
impermeabile, lo smontarono per capire com’era fatto e quindi si misero d’impegno
a produrli. Volendo trovare un marchio per il nuovo prodotto, Guglielmo non si rivolse
a un’agenzia di pubblicità, ma a don Alfieri, il sacerdote che lo aveva sposato.
L’idea di partenza era quella del gabbiano le cui penne non si bagnano neanche in
acqua. Gabbiano era però un nome poco evocativo e il fascismo impediva il ricorso
a lemmi stranieri: di qui l’idea del religioso di aggirare l’ostacolo attraverso la traduzione
latina (larus).
Nel dopoguerra il dinamismo di Guglielmo Miani ebbe modo di espandersi grazie al
clima di apertura e al miracolo economico di cui Milano fu nel Paese una delle locomotive.
Accanto al negozio di via Manzoni altri negozi Larus fecero la loro comparsa
in Galleria, in corso Vittorio Emanuele (la promessa al sarto Bressan fu così
mantenuta) e in via Montenapoleone. L’attività economica era tuttavia un aspetto di
un più intenso dinamismo che faceva di Miani il promotore di iniziative rivolte alla
socialità milanese. L’entusiasmo che egli nutriva ad un tempo per l’Inghilterra e per
la città si espresse in iniziative quali l’installazione in Galleria delle cabine telefoniche
rosse fatte arrivare espressamente da Londra e messe a disposizione dei
bambini per chiedere i regali a Babbo Natale; il dono di stoffe ai vigili milanesi; l’invito
rivolto ai suonatori di cornamuse scozzesi e ai town craiers perché venissero a
Milano rispettivamente a suonare e a strillare le notizie locali.
Volendo esprimere l’amore nutrito per la città che aveva alimentato il suo successo,
fece coniare tra gli anni ’50 e gli anni ’60 varie medaglie d’oro dedicate ai principali
monumenti milanesi. La partecipazione alla vita artistica cittadina era intensa:
spesso portava a casa quadri accettati da artisti in pagamento per i vestiti ed allacciò rapporti di
intensa amicizia con personalità del mondo dello spettacolo.
I nostri testimoni ricordano che Totò, nell’interpretare il ruolo di un manichino in uno spettacolo
al Mediolanum di corso Vittorio Emanuele, indossò, reclamizzandolo, l’impermeabile Larus.
Con Aldo Fabrizi la pubblicizzazione seguì percorsi più tortuosi: un tentativo marginale di collaborazione
commerciale tra Miani e Fabrizi si risolse in una causa per mancato pagamento dei
tessuti e portò alla condanna dell’attore. Con bonomia, Fabrizi disse a Miani che già la causa
era un compenso per il risalto dato dalla stampa quotidiana all’episodio.
Il successo dell’attività portò inevitabilmente con sé al diffondersi di forme di emulazione: negli
anni ’50 apparve il marchio Marus che vendeva impermeabili a costi più contenuti; dopo una
lunga battaglia giudiziaria che non portò ad alcun risultato, Guglielmo decise di modificare il
marchio in larusmiani mettendolo al riparo da ulteriori pericoli.
E’ negli anni ’60, cioè in una fase di
piena affermazione commerciale, che
Miani inizia un serrato assedio alla ditta
Zucca per ottenere il subentro nella
gestione del locale che i milanesi chiamavano
indifferentemente Camparino
o Zucca.
Il locale era passato nel ’19 dai
Campari alla famiglia Zucca e rappresentava
uno dei punti di ritrovo che
conferivano alla Galleria il ruolo di
salotto e di riferimento per personalità
della vita artistica, economica e politica.
La vicinanza ai punti topici della
città gli conferiva una centralità strategica;
la preziosa ristrutturazione del ‘15
nel segno dell’art nouveau aggiungeva
la gradevolezza estetica; qualità delle bevande e cura nella mescita chiudevano il cerchio facendo
del locale un angolo della socialità cittadina. Per usare l’efficace espressione dello stesso Miani,
quel luogo non era un bar: era un’istituzione ed aveva bisogno di un gestore che ne fosse consapevole.
Gli anni ’60, inoltre, segnarono l’inizio del degrado dei luoghi dell’incontro cittadino e, più ancora,
di una distrazione generale e di una sciatteria amministrativa che incideva pesantemente
sulla manutenzione di un monumento vivo come la Galleria. L’avvicendamento degli esercizi
commerciali e il mutamento della loro tipologia era un segno di questa trasformazione
e Guglielmo Miani fu pronto a coglierlo già al suo primo manifestarsi:
come ricorda il genero Orlando Chiari, “era un personaggio lungimirante; leggeva
il degrado della Galleria già nell’avvento del Motta. Si figuri se avesse visto i
Mc Donald’s”.
Se questi elementi aiutano a comprendere da un lato le motivazioni
dell’interesse che Miani, milanese adottivo e quindi
visceralmente pervaso di milanesità, poteva nutrire per il locale
e per la Galleria, altre vengono espresse da Teresa attraverso
una lettura interna delle dinamiche familiari: al volgere
degli anni ’60 i figli erano ben inseriti nella Larus e Riccardo, il
secondogenito, esprimeva una leadership che poteva essere
limitata dalla presenza paterna. Ecco allora che l’acquisizione
del locale diveniva il nuovo progetto di vita di un imprenditore
intenzionato a lasciare spazio ai figli. Orlando Chiari, ricorda
che le trattative e l’acquisto avvennero quasi di nascosto per
tema di reazioni familiari. Apparteneva, continua, a quella
generazione di imprenditori milanesi cui occorrevano due
minuti per capire se ciò che gli stavi proponendo era un affare
o no.
E’ peraltro in questa fase che Orlando Chiari, di professione
procuratore di Borsa, entrò in famiglia sposando
Teresa e lasciandosi coinvolgere nel giro di qualche anno
nelle attività dei Miani.
Guglielmo rilevò l’esercizio e lo gestì cercando di ingrandirlo
verso la Galleria.
Guglielmo Miani gestì il locale per quindici anni circa sino
alla morte intervenuta nell’87, e il suo cruccio fu quello di
non essere mai riuscito a dotare il locale di un respiro
maggiore e di servizi essenziali (tra i quali dei servizi igienici
adeguati).
Alla morte di Guglielmo, la gestione passò, per conto dei
quattro fratelli, a Iris che giunse a un accordo con il
Poligrafico dello Stato: il Poligrafico andò ad occupare i
locali di pertinenza del negozio larusmiani in Galleria, i nuovi
spazi consentirono di collegare con una scaletta i due piani
del negozio e ricavare un elegante ritrovo nelle sale superiori
che l’architetto Perego ha arredato richiamando gli stilemi decorativi
e i materiali del locale originario.
Nel luglio ’99, in seguito alla decisione tra i fratelli di ripartire le attività
della famiglia, la gestione del locale è stata assunta da Teresa
Miani e Orlando Chiari. A Riccardo è andata invece la larusmiani
ed egli continua la tradizione paterna con l’aiuto della moglie
Giovanna e del figlio Guglielmo. Adriana è coinvolta nelle attività
del marito, Ferruccio Busini, figlio dell’ex allenatore del Milan
Antonio, e ora è titolare della catena di negozi Mc Kenzy. Anche
qui i figli Umberto e Rossana sono inseriti pienamente nell’attività.
Iris, che ha gestito con efficacia il Caffè Miani rimodernandolo, è
ora impegnata a supporto dell’attività del marito, Bruno Ermolli.
A ben vedere, da quando i Miani sono subentrati alla Zucca, il
locale è passato di mano tre volte, eppure tutto è stato fatto nel
segno di una continuità dello stile che costituisce un raro esempio di interscambiabilità
dei ruoli imprenditoriali all’interno della famiglia; ed anche questo costituisce un elemento
di riflessione.
Oggi la gestione pone problemi di un certo peso. Come osserva Orlando Chiari, “se si
vuol gestire un locale come questo, non si può porre enfasi sul lucro. Bisogna avere
una grande ambizione per guidare questo locale e sentirsi gratificati nel poter dire lo
Zucca in Galleria è il mio locale”. Il dato economico deve fare i conti con il mantenimento
dello standard di qualità. La bontà dei prodotti serviti al bar o al ristorante deve
essere elevata e costante lo sforzo di ricerca che vi sta dietro. Le brioche giungono dal
forno prima ancora dell’apertura del bar grazie alla collaborazione del prospiciente
giornalaio; i salumi sono stati cercati in val Tidone; i formaggi in Valtellina e nella
Valsassina.
L’attenzione al prodotto deve sposarsi alla cura nel servizio: oggi, osserva Chiari, è
sempre più difficile trovare ragazzi che abbiano buone maniere, che percepiscano il
saluto come parte integrante del servizio al cliente, che siano disposti ad accettare il
tempo esteso dei locali pubblici. La libertà al sabato e alla domenica è generalmente la
prima informazione richiesta nei colloqui di lavoro e precede nettamente la stessa questione
del trattamento economico. A ciò si aggiunga, osserva Teresa Miani, un turn-
L’esterno del Caffè con i tavolini in Galleria
Disegno del negozio dal lato della Galleria
over che impedisce la strutturazione di un solido rapporto fiduciario: quando lavorava in
larusmiani era frequente il caso di persone che entravano da apprendisti e col tempo divenivano
dirigenti. Oggi, questo percorso è un’eccezione. L’intreccio di questi elementi di qualità
(gli alimenti, il servizio, la cura dell’arredo) costituisce condizione imprenscindibile per
restare fedeli alla tradizione dello Zucca in Galleria; tenerli congiunti in modo continuativo
rappresenta la scommessa quotidiana dell’imprenditore che egli vince attingendo in modo
esasperato alla propria flessibilità. Un orario di lavoro che va dalle 7 alle 21 costituisce la
norma, né le funzioni svolte sono delegabili: il giornalista, l’imprenditore, la personalità che
si presenta per concordare un incontro o un’intervista si aspetta di instaurare un rapporto
preferenziale con il titolare e ciò si risolve in un’attività di pubbliche relazioni senza soluzioni
di continuità. In quest’essenzialità del proprio ruolo sta la chiave della gratificazione dell’imprenditore
che trova nelle qualità dell’esercizio un’estensione degli elementi positivi della
propria personalità. Non a caso ritornano costantemente nella testimonianza concetti tra
loro apparentemente lontani, ma consequenzialmente incardinati: passione, malattia, divertimento.
Il livello di impegno è tale da far sorgere il dubbio che la responsabilità imprenditoriale
costituisca un lascito troppo pesante da trasmettere ai propri figli e questo tema,
secondo Chiari, costituisce elemento di seria riflessione per molti imprenditori. E’ proprio
sul tema dell’indisgiungibilità tra onere e piacere nell’opera dell’imprenditore che il racconto
si arricchisce di un secondo e inaspettato capitolo che fa da corollario alla vicenda dello
Zucca in Galleria. Nel ‘78 Teresa si risolse ad acquistare uno stabile fatiscente
sito in via Santo Spirito 17. L’idea era quella di costruire un’iniziativa
imprenditoriale propria (“mi son detta, quando invecchio non voglio che i miei
nipoti si chiedano cosa ci fa una persona di quell’età in azienda”) attraverso
la quale esprimere la propria originalità gestionale. Pian piano l’idea si concretizzò
nella realizzazione di un residence che il padre Guglielmo fece in
tempo a vedere inaugurato nell’87, poco prima di morire. Per poter svolgere
la funzione di titolare, Teresa tornò in aula a frequentare i corsi della Scuola
Superiore del Commercio (“quando andavo in viale Murillo, data l’età mi
scambiavano per un’insegnante”) e conseguire l’iscrizione al Rec. Superati
gli esami, scoprì che la gestione di un residence in Italia presentava larghi
margini di indeterminatezza: a differenza degli alberghi, la normativa non
prevedeva il rilascio di alcuna licenza. La neonata associazione di settore,
Rescasa, la esortò a non preoccuparsi e ad accettare, come tutti gli altri proprietari,
la situazione di fatto. Teresa Miani, viceversa, rifiutò la situazione di
vuoto normativo e collaborò con i funzionari del Comune di Milano alla predisposizione
di una procedura affidabile che ebbe l’onore di varare per prima.
Oggi il residence di via Santo Spirito rappresenta un angolo silenzioso e
impeccabile per clienti capaci di apprezzare discrezione e qualità del servizio.
La cura nei particolari e il ricorso a materiali di pregio (i pavimenti in noce
italico, il rifiuto di vernici e moquette per evitare allergie, il ricorso a colori
solari) si accompagnano alla piena attenzione ai desideri e alle caratteristiche degli
ospiti ai quali si preme dare l’impressione di disporre di una casa, non di un soggiorno
casuale e precario. L’attenzione alla privacy è elevata e questo articolo darà unicamente
conto del nome di Marcello Mastroianni il quale adorava soprattutto la possibilità di
risiedere nel centro di Milano senza essere assediato da giornalisti e ammiratrici. Il
residence è certo un’attività commerciale, ma, come dice Teresa, “è una cosa per me”,
è una realizzazione cui tiene al punto da selezionare, ove possibile, la clientela.
Chiedendo a Teresa Miani quale motivo l’abbia spinta a passare dalla larusmiani a
un’attività così diversa qual è la gestione del residence, si ottiene la risposta che si tratta
di un lavoro quasi naturale per una donna che ama la cura della casa. La risposta
ha indubbiamente una sua forza. Consentiteci tuttavia di fare affiorare altre motivazioni
partendo dagli elementi di continuità che legano i comportamenti
imprenditoriali di Guglielmo e Teresa nonostante un ventennio di
distanza: in primo luogo c’è il desiderio di iniziare ex-novo un’avventura
nella quale giocarsi a fondo, anche sfidando l’assunto generale che
vuole l’imprenditore ancorato a una formazione specifica. In secondo
luogo, c’è la volontà di costruire qualcosa di identificabile univocamente
nel contenuto e nello stile. In altri termini c’è l’esigenza istintiva
di fondare una tradizione. L’atteggiamento di Teresa Miani ripete per
molti versi il salto operato da Guglielmo nel 1967 ed è testimonianza
di un imprinting formativo che pure a distanza di tempo si dimostra capace
di generare innovazione.
Nessun commento:
Posta un commento